“Quanta belva esset imperium”, ovvero sull’esercizio del potere
Il lato oscuro del potere da Tiberio alla contemporaneità. Ma la chiave risiede nell’animo umano
di V B Liceo Classico Nuoro
Tiberio Cesare, Imperatore di Roma 14-37 d.C. inciso da Aegidius Sadeler
8' di lettura
19 Dicembre 2024

Quanta belva esset imperium“: così scrive lo storico Svetonio (69 ca. – 122) nel suo capitolo delle Vite dei dodici Cesari dedicato all’imperatore Tiberio (42 a.C. – 37 d. C.), figura enigmatica nella storia, descritto come capace ma anche diffidente e ombroso: attraverso questa espressione attribuita proprio all’imperatore si dà conto del lato oscuro del potere,  di quanto esso sia violento e distruttivo, una belva impossibile da gestire, che si appropria dell’uomo desideroso di possederla e controllarla, ma essa è più potente degli uomini e sono loro a cedere al suo controllo. La frase esemplifica in maniera molto sintetica e netta quello che è il rapporto fra il potere e l’uomo. L’uomo è attratto dal potere, dalla possibilità di imporsi sugli altri, dalla volontà quasi fisiologica di non farsi sopraffare dagli altri e pertanto ricerca costantemente l’esercizio del potere. In questo si sente appagato, superiore rispetto agli altri e dà sfogo al proprio ego, sentendosi intoccabile ed avvicinandosi all’idea suprema per eccellenza, ovvero quella divina: l’uomo potente ha l’impressione di avere nelle sue mani il destino del mondo. La frase indubbiamente offre una chiave di lettura inquietante sulla natura del potere. L’impero, inteso come entità politica e sociale, è visto come una creatura vorace, capace di consumare tutto ciò che incontra nel suo cammino. Questo “animale” rappresenta l’ambizione, la guerra, la sete di dominio, ma anche il controllo e la stabilità. In tempi recenti pensatori come Michel Foucault hanno analizzato le dinamiche di potere, sottolineando che questo non è mai statico ma sempre in movimento, capace di creare gerarchie e forme di controllo. 

La belva dell’impero, dunque, è anche una metafora per la complessità delle relazioni di potere nella società contemporanea, dove l’equilibrio tra autorità e libertà è sempre precario. E però il rischio di disumanizzazione è sempre presente: il potere può diventare un fine in sé, distaccando gli individui dalla loro umanità. Il legame indissolubile fra i due termini, belva imperium, è il significato del concetto di autorità comando secondo l’imperatore Tiberio. Definendo infatti il ruolo del potere con il termine belva, non va tanto a paragonare quanto piuttosto a identificare quell’azione con l’agire di una bestia feroce, di un animale selvaggio. Peraltro è una visione molto razionale e pragmatica quella di Tiberio, il quale si riferisce così alle reali dinamiche dell’azione governativa, che non è certo solo fatta di leggi matematiche. Un imperatore deve infatti far fronte direttamente con quello che è il divenire di una società, i suoi cambiamenti legati al mutevole agire degli uomini. Per questo, secondo Tiberio, bisogna essenzialmente tener conto di quell’oscuro lato del potere, che per funzionare si manifesta come un violento animale selvaggio. Questa concezione è simile a quella espressa da Machiavelli, secondo la quale l’autorità doveva essere ora astuta come una volpe ora feroce come un leone per poter riequilibrare lo Stato verso la retta via. A Machiavelli si lega infatti la frase “Il fine giustifica i mezzi” per spiegare che qualora il potere agisca in maniera aggressiva e impetuosa, non bisogna focalizzarsi sull’azione, ma sulla finalità di quest’ultima. Certamente le dinamiche di potere sono una complessa rete di relazioni che operano in modo diverso in base alla facies della società. Esse non sono sempre pacifiche, e molte volte l’esercizio del potere è strettamente correlato all’esercizio della violenza in quanto è più certo che un principe sia temuto anziché amato e che il suddetto debba essere sempre pronto ad impiegare la violenza nel momento in cui le leggi non siano più sufficienti. La storia è costellata di esempi di violenza dovuti alla brama di potere dell’uomo, basti pensare ai regimi tirannici e liberticidi in molte parti del mondo, ai totalitarismi, a tutte le atrocità determinate dalle guerre, nel passato come nel presente. Così la letteratura mondiale è a sua volta colma di riferimenti a questo legame, in quanto siamo ben consci che il male è insito nell’uomo e questa smania di controllo e dominio non può che scatenarlo. 

Certamente il potere non è solo quello esercitato da un popolo che intende opprimerne un altro, ma anche quello esercitato da una persona su un’altra. L’imperatore Nerone nell’antichità fece uccidere la sua stessa madre pur di mantenere il suo potere stabile. Ancora oggi quante tragedie avvengono all’interno degli stessi nuclei familiari, quando l’uomo intende imporsi sull’altro e si manifesta la violenza. La frase di Tiberio ci invita a interrogare la natura del potere e il suo impatto sulle vite umane, promuovendo una riflessione critica sulla nostra relazione con l’autorità e la libertà. Contrariamente alle convinzioni portate avanti dal filosofo Socrate, il quale sosteneva che gli uomini sono per natura inclinati verso il bene e che compiono azioni malvagie solo nel momento in cui non conoscono un’alternativa, per cui non esiste una intelligenza rivolta al male, purtroppo sappiamo che spesso gli uomini al potere, pur conoscendo le possibilità che dà loro il loro ruolo, scelgono di abusarne per interessi personali. Persino l’uomo più buono, se in possesso di un vasto potere, si ritroverebbe quindi prima o poi, anche involontariamente, ad abusare dei propri privilegi. Proprio per questo è importante che alla guida dello Stato vi sia un governatore cosciente di tale pericolo, affinché possa fare il possibile per tenervisi alla larga: è necessario qualcuno che sappia bilanciare col filo d’oro della ragione gli impulsi e le tentazioni che si legano alla nostra condizione umana. Sicuramente chi detiene il potere deve sempre essere consapevole dei rischi di abuso e corruzione. È un invito a riflettere su come il potere, se non controllato, possa portare a ingiustizie e sofferenze. 

In un contesto storico contemporaneo, questa riflessione ci esorta a vigilare attentamente sulle dinamiche di potere, affinché non prevalga l’istinto predatorio a scapito della giustizia e della dignità umana. Solo così possiamo sperare di costruire una società più equa e responsabile. Inoltre, è fondamentale possedere l’autocontrollo affinché il potere venga esercitato con saggezza e umanità, proteggendo i diritti di tutti ed evitando gli errori del passato. La consapevolezza e l’impegno di tutti sono fondamentali per trasformare il potere in uno strumento di progresso. Se è vero che il potere molte volte può diventare una belva inafferrabile e malvagia in grado di trasformare chi lo detiene in un vero e proprio tiranno e chi lo subisce uno schiavo, in verità è il potere, il quale di per sé non è né cattivo né buono, che trasforma l’uomo e il suo animo rendendolo malvagio o mite; tutto dipende da come un essere umano voglia porsi, avendo il potere nelle proprie mani. La parola belva è riferita sì al potere, quasi personificandolo, ma in realtà il vero soggetto della parola è l’animo umano che da un momento all’altro potrebbe diventare egli stesso una belva se non bilancia il potere con la moderazione e con un alto senso di giustizia, di legalità e di saggezza. Tutto sta nell’uomo, nello scegliere di assumersi la responsabilità di usare il potere con intelligenza e buon senso. (2. FIne)


A cura degli alunni della classe V B del Liceo Classico “G. Asproni” di Nuoro:

Nicola Alpigiano, Francesca Capurso, Fabiola Carta, Beatrice Delpiano, Stefano Deriu, Marta Dessena, Rosella Fronteddu, Emma Gaias, Giuseppe Obinu, Emanuele Pinna, Marisa Piras, Pasquina Salis, Giulia Siotto, Paola Vilia, Angelica Zanda 
Coordinamento didattico: Venturella Frogheri

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