Il quinto libro nella riedizione dell’opera omnia di monsignor Calvisi
Ci sono tradizioni, riti e miti recuperati da monsignor Calvisi nei luoghi, lui li definisce «vigne sterpose», della sua esperienza sacerdotale
di Natalino Piras
Monsignor Raimondo Calvisi con il fratello e la sorella. In basso: la copertina del volume
5' di lettura
21 Luglio 2025

Questa rubrica, in cammino da dicembre 2020, da qualche tempo oltrepassato il numero cento, inizia con la memoria di monsignor Raimondo Calvisi (Bitti 12 gennaio 1892 – Nuoro 5 marzo 1978) e con l’illustrazione del progetto per la riedizione della sua opera omnia: cinque libri pubblicati tra il 1966 e il 1976, principalmente da Fossataro. Esce in questi giorni il quinto libro: Sprazzi d’antica vita barbaricina, 235 pagine, comprensive pure di Echi lontani, pregnante memoria individuale e storica del prete di origini oschiresi Gian Carlo Frassu (Tripoli 29 maggio 1920 – Lugano 8 dicembre 1985). L’editore della riproposta dell’opera omnia, iniziata a pubblicare nel 2021, è Carlo Delfino di Sassari. Gli va dato grande merito e riconoscenza per aver creduto in una intrapresa altrimenti impossibile. Così come un forte grazie va all’editor Lavinia Foddai e a Nico Orunesu autore del progetto grafico delle copertine oltre che di numerosi disegni presenti in tutti i cinque volumi. Suo l’acquerello di copertina, uno scorcio della chiesa delle Grazie, sas Grassas di Bitti, del sesto libro, l’ultimo, che chiuderà la riedizione dell’opera omnia. Il sesto volume, già in lavorazione, è fatto di racconti e pezzi sparsi su quotidiani e riviste, riflessioni, appunti di omelie, tante fotografie, la versione anastatica de La mia guida, prezioso libretto pubblicato nel 1949 quando don Calvisi era parroco a Siniscola, ricco di preghiere ma anche di consigli pratici a pastori, contadini e altri paesani. 

Curatori della riedizione dell’opera omnia siamo Diego Casu, Deddeddu, pronipote di monsignor Calvisi, e chi scrive. Dico «siamo» al presente anche se Deddeddu, coetaneo e amico dal tempo dell’infanzia, è venuto a mancare, vinto da un male combattuto con coraggio da leone sino alla fine, il 3 gennaio scorso. Con Deddeddu firmiamo insieme tutte le introduzioni, bibliografie, indici dei nomi. La moglie di Diego, Maria Antonietta Muroni, ha ridigitato tutti i testi delle edizioni originali e ci ha sempre accompagnato in tutte le presentazioni dell’opera.

Il quinto libro è nel segno degli altri quattro. Ci sono tradizioni, riti e miti recuperati da monsignor Calvisi nei luoghi, lui li definisce «vigne sterpose», della sua esperienza sacerdotale. Prete e ricercatore, Rimunnu Truncu, così veniva chiamato a Bitti e Lula, era un grande osservatore, uno che indaga in superficie e profondità. Di tutto fa narrazione. Il mondo calvisiano è fatto di cronache del tempo fermo in sperdute lande di Barbagia, Baronia, Bassa Gallura, ma pure il retaggio del magico, del sacro e del profano, del divino alle prese con un mondo di humiles et pauperos oltre che di gente alla macchia, abigei, accabatoras, poetas e pellegrini, cercatori di tesori, meres e tzeracos. Insieme ai racconti anche pagine diaristiche di un povero prete di campagna. Ci sono poi, messe abbondante, d’autore e tramandate anonime da anni, lustri e secoli, le poesie in limba sarda. Monsignor Calvisi le propone in originale e traduzione italiana, le suddivide per generi e tematiche, mutos, precatorias, cantos de amore, de irmuju, attitos, pezzi di poemi epici come Sa Jerusalèm Victoriosa di Merzioro Dore o, come in questo quinto libro, le Ottave cantate in trincea, guerra 1915-18, dal poeta Dionigio Sanna, Raspitzu, caduto sul fronte. Nell’introduzione al primo libro, Raffaello Marchi, che convinse monsignor Calvisi, ultrasettantenne, a iniziare la pubblicazione dei materiali raccolti, dice una cosa importante: quanto sono le persone e le cose, tutte le anime che popolano storie dense di eroi solari e oscuri, le magie, gli scongiuri, i beffatori beffati, i festaioli e la gente di fatica, i furbi e gli ingenui, tutto sono tranne che raillerie paesana, che qui, in maniera impropria, rendiamo come contos de cochinzu. Consapevoli della grande valenza letteraria, storica, antropologica, de sos contos de cochinzu.  

Tali le scansioni nei racconti del quinto libro: l’ossessa Donna Maura, nuoresi di Santu Predu contro nuoresi di Seuna per una statua rapita, sa molinzana, mugnaia, Anna Luchia,  che attita il cavallo Istellatu morto di vecchiaia e di fatica, la vedi-morti Annedda figlia di Cossola Enas che va a San Francesco di Lula per sciogliere un voto, Bostanu Chera e la madre Anna Luchia Braja che cercano di uscire da uno stato di malaria ricorrendo alla magia e accompagnandosi con gente sanguinaria, Piculosa frastinatora di mestiere, Pride Antoni e i suoi libri magici, Chilivra che castiga in versi le ragazze crapas iscorratas, ancora gente pia in apparenza, abigei, assassini, Tropea tzeracheddu ‘e caserma a Urà, il ciabattino Matteu Irde respinto da Rosa Piche, zia Zonchedda e ziu Linu custodi della chiesetta della Solitudine dove canonico Calvisi fu parroco. Per la parte poetica insieme a Raspitzu ci sono una testo del Settecento Prite m’ammoras si non cherjo a tie?, Su Nuraghe del dorgalese Ignazio Serra e Cal’est custa Segnora? di padre Luca Cubeddu. Significativa la storia, noi curatori aggiungiamo diverse notazioni di Francesco Mariani, del rettore Francescangelo Satta Musio, vissuto in periodo fosco, al tempo delle nostre guerre civili. 

Lo stile narrativo di Raimondo Calvisi è di grande fascino, lineare, di godibile lettura, capace di rendere semplice il complesso.

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