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Francesco Mariani
Mercoledì 8 gennaio, in una mattinata di sole freddo, siamo arrivati da diverse parti della Sardegna per il saluto a Deddeddu nella sala commiato del cimitero di Sassari. Una cerimonia laica pervasa di intensa religiosità. Saluti di Maria Antonietta Muroni, moglie di Deddeddu. Enedina Sanna, maestra del racconto, legge una poesia di Diego. Giovani e anziani, militanti del Pci diventato costola del Pd, parenti e sodali, una ragazza che fa parte di una associazione sportiva, l’editore Carlo Delfino. E tanta altra gente, una folla di silenzio compartecipe, di volti assorti, palpabile la commozione.
Diego Casu, Deddeddu il nome con cui è conosciuto a Bitti, classe 1951, se ne è andato a 73 anni il 3 gennaio scorso. Era da molto tempo che combatteva con coraggio e ferocia da leone contro la malattia. Pubblicava su Facebook le andate e i ritorni per le chemioterapie in Piemonte, a Candiolo, nella circoscrizione metropolitana di Torino. Quanto più scoraggianti i risultati delle analisi tanto più lui diventava forte, accettando la solidarietà di quanti gli dicevamo di resistere.
Con Deddeddu siamo stati insieme bambini, frequentanti gli stessi lughi, le stesse strade, le stesse guerre di vicinato, la stessa chiesa di San Giorgio, la stessa scuola. Lui era nella classe di mastru Goffredo Doneddu, insieme a Peppe Tordo, altri amici e coetanei, bambini e ragazzi che insieme abbiamo avuto forte educazione cattolica. Una Chiesa al bivio tra catechismo dottrinario e il Concilio Vaticano II. Oltre tutti gli apprendimenti, ideologie e ripulse quella formazione cattolica ci ha lasciato come segno quello di essere solidali e compassionevoli, soprattutto con i sofferenti in corpo e spirito, con i poveri, con i diseredati, anche con gli straccioni nel mondo. Soprattutto con la gente del lavoro, con gli operai. Tutto questo faceva parte del bagaglio culturale di Diego Casu. Dopo anni di seminario a Nuoro, finito il Liceo classico, ha frequentato l’università da studente-lavoratore. Abitava a Sarroch, a casa del fratello Juanne, operaio alla Saras, la petrolchimica. Altre solidarietà e saperi appresi e messi in pratica. Laureato in giurisprudenza, Deddeddu è stato imprenditore, presidente regionale della Confapi, l’associazione delle piccole aziende, dirigente in imprese del settore trasporti, edilizia civile, e industriale.
Nella sala di commiato del cimitero di Sassari, corpore praesenti, una bara di legno lucido con sopra il Crocifisso, Diego, amico e compagno è stato ricordato per la capacità organizzativa nel lavoro, per la vis polemica nella presenza in sedi e sezioni di partito, la forza delle idee e la capacità di condividerle, difenderle con ostinazione, il vaglio critico unito a una forte ironia. Era un suo tratto. Sin da bambino, al tempo che lui era Aquila Rossa, leader, ricorda Mario Pala, nel vicinato tra Cadone e Santu Tomas, in via Brigata Sassari, Deddeddu era di spirito arguto, la battuta pronta, il tono serio che noi bittesi abbiamo quando dobbiamo provocare il sorriso e il giusto riso. Senza per questo fare perdere alle parole peso e leggerezza. Da grande questa sua forte personalità, Diego l’applicava con serietà nel lavoro, la imponeva nelle battaglie per i diritti civili, contro lo sfruttamento e la disoccupazione, per la dignità dell’intellettuale, per la pace nel mondo. Con tutte le contraddizioni che questo impegno continuato sostiene e affronta. Sempre arduo essere chierici di due Chiese.
In questa sua umana vicenda, Deddeddu ha avuto un maestro quasi assoluto, un prete animatore scout e grande scrittore, un cercatore di storie nel mondo tradizionale che credeva nella Provvidenza. Era Monsignor Raimondo Calvisi, suo prozio, fratello della nonna materna Teresa.
In questi ultimi quattro anni, dagli inizi del 2021, con Deddeddu abbiamo lavorato insieme alla cura della riedizione, per Carlo Delfino, dell’opera omnia di Monsignor Calvisi, Rimunnu Truncu in accezione paesana. Siamo arrivati, come edito, al quarto libro. Ne mancano due. L’ultima volta che ci siamo sentiti per telefono, Diego faticava a parlare. Però non defletteva di spirito nel dire a se stesso e a me che bisognava fare in fretta perché almeno il quinto libro venisse completato. Per lui, così come per me, la riedizione dei libri di Raimondo Calvisi, il lavorarci sopra con assiduità, era, è una ragione di vita. In spirito di servizio alla comunità, quella bittese e diverse altre. Come realizzazione delle proprie legittime ambizioni. Scrive Diego in Tutte le anime, l’introduzione che insieme firmiamo nel primo libro, riferendosi allo zio, Nonnu Calvisi, alla sua postura di «prete di sinistra», così lo chiamava Clara Gallini, che «Il suo grande merito è avere compreso l’importanza di trasferire per iscritto quei racconti tramandati oralmente per diverse generazioni. Li tramanda a futura memoria. Sta in questo la sua grandezza, la sua intelligenza, la sua sensibilità, il suo intuito. Ha visto ciò che altri non vedevano. Si è reso conto che la società stava rapidamente cambiando. E quel cambiamento repentino avrebbe spazzato via tutto quel patrimonio culturale formatosi sino ad allora». Bisognava salvarlo, recuperarlo, riproporlo. Fondamentale la scuola impropria, quella della società pastorale, antropologicamente analizzata da Michelangelo Pira.
Il commiato per Deddeddu è giusto enunciarlo in sardo: At a restare semprere in s’ammentu de su ichinatu, de sa idda, de s’istoria nostra. Il vicinato come civiltà, il paese come orizzonte prospettico, le nostre storie dentro la Storia.