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L’Ortobene
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di Nuoro n. 35/2017 V.G.
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Uscirà in autunno per Letteratura alla macchia la riedizione di un libretto altrimenti introvabile, pubblicato da Liberatzione a Natale di quarant’anni fa: Quale memoria pro so’ remitanos. L’universo concentrazionario di Cadone e Garga Umosa. Ne sono autori il compianto Giulio Albergoni e chi scrive, progetto grafico di Tonino Cugusi. Il termine concentrazionario è preso dal lessico del lager, significa campo di concentramento. Cadone era il vicinato più povero del paese di Bitti e là vivevano sos remitanos – la parola viene da eremitani, i vagabondi che custodivano i santuari campestri – un insieme, comente unu ammassu dicevano, di gente chiamata con disprezzo sa rimitanìa. Nel centro di Cadone, su catone è un’erba cattiva, stava Garga Umosa, letteralmente gola, strettoia, tana di fumo. Sul finire degli anni Cinquanta del Novecento, la gente di Cadone venne «diasporata» in sas casas minimas sopra Sa Matta, verso l’uscita dal paese, a poca distanza della strada per Nuoro.
Quale memoria pro so’ remitanos contiene poesie di Remunnu ‘e Locu, Cosimo Sanna-Gosomeddu, Gavino Sanna alias Gavineddu ‘e Zizzone, Pighinetti, Primavera e Totoi. Sono tutte di beffa, a tratti estrema. Per come sono strutturate, in forma di poema parodico della gloria di Roma antica, ottave e sestine irregolari, filastrocche nonsense, gosos che invece dei santi elevano a canto una teoria di gente angariata dalla sorte, provocano immediatamente il riso. Questo però veicola forte compassione che si fa memoria storica. Rappresenta bene questo insieme di ragioni e sentimenti il disegno di copertina: Garga Umosa, un olio su tela di Nico Orunesu, delicati colori d’acquerello che fanno da sfondo a un grumo nero di case basse, addossate l’una sopra l’altra, le finestre come occhi inquieti, i tetti a piano strada. Così abbiamo conosciuto Cadone.
A Cadone apparteneva Remunnu ‘e Locu, analfabeta, il più grande poeta bittese, figura centrale del libro. I suoi versi, patrimonio Unesco, sono cantati dae su tenore a lui intitolato ma pure da altra gente. La poesia di Remunnu, vissuto nella seconda metà dell’Ottocento, è la cronaca del suo tempo come reale e come metafora. Sia che dica di sé «De Locu su sambenatu/su prur male affortunatu/ch’est naschitu in su munnu» o metta la sua condizione di senza sorte a utopico orizzonte: «S’ajo ischitu jucher pinna/ei su donu de s’iscrittura/dia aer fattu vrigura/in cudd’ala de Sardigna». Forte lo spirito di osservazione e la capacità di usare sa limba mea tantu acuta per narrare le molte contraddizioni del vicinato di appartenenza: «Cadone no er birbante/né de cussenzia brutta/cuddas cosas importantes/si lar fachet a sa muta».
E dire che Gosomeddu, altra figura importante nel testo, nella sua famosa Ego sum Funis mette in sequenza «Tullo Ostilio Scipione s’Africanu/Marc’Aurelio Attila e Nerone/Ziu Berredda Caneddu e Sustianu/tottu m‘in parentes chin ziu Busone». Per poi adattare alla solennità, facendo ricorso a un italiano volutamente ridicolizzato, un dolce stilnovo del tutto particolare: «E quando la incontresi sulla via/le chiesi: vuoi tu diventar la sposa mia?»
Quale memoria pro so’ remitanos è apologo e teatro di strada. Vi compaiono «Sintollu e Mojeddu Murru», nipoti proprio di Remunnu ‘e Locu, che discutono tra di loro su cosa donare ai novelli sposi che Totoi, Giovanni Antonio Farre, padre della grande oche a tenore Zesarinu, immortala in quell’altra famosa canzone Milia vatu ‘sa trota, n’autentica sfilata dell’universo cadoniano: «Buzzuiu chin Zoseppedda/Vruttuosa chin Cozzette» e tante altri e altre. Lo stesso dolente mondo che, come le anime del Giorno del giudizio sattiano, pretendono di essere raccontate, la povertà estrema di Cadone come narrazione di sé e metafora del paese della fame, della miseria e dell’abbandono, come saldo tra la memoria privata, una folla di individui, e quella pubblica che la Storia e le storie continuamente ripropongono. Tutti i poeti, anche quelli dei versi più sprezzanti, taglienti come lama, fanno afflato in questa ricomposizione.
Il nuovo libro aggiungerà altri testi a quelli già presenti nell’edizione di quarant’anni fa. Poesie ricuperate che grazie anche al nostro libretto sono venute fuori dalla dimenticanza, riemerse alla luce che viene proprio da Cadone. Dae s’iscuru sa luke: così sta scritto sotto un calco bronzeo del volto di Remunnu ‘e Locu ricostruito proprio da Giulio Albergoni in quel lontano 1983 e collocato al centro della piazza edificata, progettista Nico Orunesu, dove un tempo stavano le case basse degli ultimi degli ultimi. Quando pubblicammo il libro i ringraziamenti andarono a Rosetta Sanna che ci aveva aiutato nella ricerca dei testi, a Daniele Cossellu, al grande amico Peppe Tordo. Li rinnovo anche in memoria di Giulio. Penso che sarebbe stato contento di questa riedizione.