Un viaggiatore disinformato come tanti
Inviati speciali in Barbagia, Pentalogia/5 Elio Vittorini e "Sardegna come un’infanzia"
di Natalino Piras
Elio Vittorini fotografato a Milano da Federico Patellani nel 1949 In basso: La copertina del libro edito da Mondatori
5' di lettura
20 Ottobre 2024

Diversa gente passerà per Nuoro e le Barbagia lungo l’intero Novecento. A parte le commissioni parlamentari d’inchiesta, viaggi più o meno lunghi, in strade polverose e acciottolati, per monteras e boschi, per pietraie e muri gettanti ombra, si alterneranno individui e gruppi. Poeti e narratori, giudici e ministri di culto, registi cinematografici e gruppi folk, inviati speciali. E i loro negativi modelli. Gente a cui interessava la Sardegna solo come terra desolata. Con improvvise illuminazioni destinate a tornare cenere. D’Annunzio, di passaggio a Oliena, non sa andare oltre l’inebriante nepente. Negli anni Trenta toccherà a Elio Vittorini dire che a Nuoro «le donne in rosso e nero, gremiscono le strade spingendosi avanti gli asinelli carichi di mercanzia», «certi uomini» hanno «occhi da lupi», le cornacchie sorvolano la chiesa del Rosario, dal cocuzzolo della cattedrale, la statua del Redentore appare come un «bastone», «infisso nella schiena» di «grandi montagne nere d’alberi». Convenzioni.

Era il 1932. Insieme ad altri scrittori, l’allora ventiquattrenne Elio Vittorini (Siracusa  28 luglio 1908 – Milano 12 febbraio 1966), proveniente dall’esperienza della rivista Solaria, pupillo di Curzio Malaparte e del suo fascismo di sinistra, destinato a diventare protagonista del Novecento letterario (i romanzi Il garofano rossoUomini e noConversazione in Sicilia, la fondazione delle riviste Il Politecnico dopo la sua partecipazione alla Resistenza, Il Menabò, il lavoro editoriale per Einaudi e tanto altro), partecipa  a un viaggio-concorso organizzato dal settimanale L’Italia Letteraria. Ci sono in palio 5000 lire per il miglior diario di viaggio. La giuria è composta da Grazia Deledda, Silvio Benco e Cipriano Efisio Oppo. Vittorini presenta il suo lavoro con lo pseudonimo Amok e vince ex aequo con Virgilio Lilli. Una parte del diario viene pubblicata nella stessa Italia Letteraria (25 dicembre 1932) con il titolo Quaderno sardo poi nella rivista Il Bargello (1 gennaio 1933) un’altra parte, Gioia Mussolinea, tristezza di Iglesias, infine Giorni di mare su Solaria (gennaio 1933). Nel 1936 la casa editrice Parenti di Milano pubblica Nei Morlacchi. Viaggio in Sardegna. Il viaggio nei Morlacchi, una parte della Venezia Giulia diventata poi territorio croato, viene raccontato da Vittorini in forma di «prosa lirica», decisamente meglio di Sardegna come un’infanzia, titolo definitivo del diario, pubblicato da Mondadori nel 1953. 

«Il libretto nasce tutto dall’occasionale, dal casuale, ed all’occasionale ed al casuale è totalmente, decisamente abbandonato, vive e cresce su di essi: appunto sul continuo desiderio di vedere, di toccare, di avvertire la realtà, una nuova realtà. In un certo senso la Sardegna è anche un pretesto, – e noi in tal senso ci rendiamo conto della diffidenza della Deledda di fronte a quel modo di vedere il suo paese, di renderlo; – difatti a Vittorini, per esprimersi, per esprimere quella sua ansia e anche frenesia di vita, di incontro con la vita, sarebbero serviti qualunque altro paese, qualunque altra esperienza». Così Silvio Guarnieri nell’introduzione a all’edizione Oscar Mondadori 1973.

In perfetta sintonia con Grazia Deledda siamo d’accordo con il giudizio di Silvio Guarnieri. Seppure non così benevoli. A tratti, Vittorini è come i peggiori inviati speciali nella Sardegna del banditismo e no. Niente a che vedere con le inchieste di Franco Cagnetta, Pasquale Riga, Angelo Del Boca, Peppino Fiori, Norman Lewis, i fotografi Berengo Gardin, Franco Pinna, Pablo Volta, pochissimi altri.    

Nuoro e Oliena sono al centro del libretto di Vittorini in quanto a metà strada del tragitto che inizia a Terranova, Olbia, punta verso l’altipiano di Gallura, da Tempio a Sassari, poi nuovamente in pullman-carrozza verso Macomer, appunto Nuoro e Oliena, Oristano, Arborea, le miniere di Iglesias, Cagliari, Sant’Antioco Carloforte, risalita in mare, in piroscafo, sino a Palau e La Maddalena. In tutto 43 capitoli, schede, diverse di poche righe. L’infanzia di cui parla l’autore nel capitolo di congedo, Nevermore, mai più, è un’autentica mistificazione. Poche conoscenze storiche, sullo stesso piano Brancaleone Doria, i pisani della Gherardesca e Garibaldi, visione del vero, del reale, intrisa di pregiudizio e di stereotipi. Il fastidio, il disagio, lo spregio, prevalgono sulla curiosità, sul navigare profondo. Una scrittura che cerca l’effetto. Per Vittorini l’ospitalità dei sardi è «prepotente bisogno di consumazione», i lavoratori del sughero sono «uomini circoncisori», la condizione operaia dei minatori di Iglesias «tetra disperazione di diavoli nudi sino alla cintola». Assente qualsiasi pietas. Il funerale di un bambino a Oliena come un «passo di nulla». Ancora «donne in scialle nero», mai che manchino, «bambini schiamazzanti», «galline straccione», «E di spoglie di serpi. Odore di Sardegna», «una stazioncina fischiante alla solita maniera pecoraia». Niente dell’Elio Vittorini grande narratore. Con una nota finale. Da deus della casa editrice Einaudi, fu lui a scoprire Beppe Fenoglio e Italo Calvino, Vittorini rifiutò di pubblicare Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il dottor Zivago di Boris Pasternak e Il tamburo di latta di Gunther Grass, questi ultimi due premi Nobel per letteratura. 

Evidentemente fu preso dallo spirito basso che segna Sardegna come un’infanzia

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