19 Novembre 2024
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Tra i luoghi nei quali la presenza di un sacerdote è segno di vicinanza ai più fragili vi è il carcere, sinonimo di pena e detenzione, quasi mai di rieducazione e redenzione. Per tanti anni è stato don Giampaolo Muresu a percorrere le sezioni della Casa circondariale di Badu ‘e Carros, ad assicurare la Messa, una continua vicinanza e comprensione, la collaborazione con la direzione. Durante il suo servizio è anche nata una associazione di volontariato penitenziario intitolata a San Massimiliano Kolbe, esperienza prima formativa e poi presenza “sul campo” con diverse iniziative.
Ora tocca a don Roberto Dessolis, che è anche parroco della Beata Maria Gabriella a Nuoro, prendere il suo posto: dal primo giugno ha fatto il suo ingresso come cappellano a Badu ‘e Carros. Ma il carcere non è un luogo che gli è estraneo. Ricorda come già da volontario della Caritas sia entrato nella struttura e ancora come nel 2019 da diacono abbia svolto servizio come esperienza pastorale. Non solo, la sua tesi di baccalaureato era dedicata proprio alla Pastorale carceraria e alla giustizia.
«Vado in carcere quotidianamente – racconta don Roberto -, principalmente faccio colloqui ai detenuti, confessioni, la celebrazione della Messa due volte alla settimana e tre momenti di catechesi diversa, una per ogni sezione. Il mercoledì c’è un momento di catechesi per i detenuti comuni con un gruppo canto della parrocchia Beata Maria Gabriella e con il gruppo di volontari della Massimiliano Kolbe, svolgiamo un cammino di preparazione alla liturgia. Quindi con l’animazione e con il canto proviamo a spiegare tutte le fasi e i momenti della Messa. Nelle due sezioni di alta sicurezza entrano il venerdì un gruppo del Cammino neocatecumenale e il gruppo degli Evo (Esercizi spirituali nella vita ordinaria) di Sant’Ignazio di Loyola, gli esercizi ignaziani fatti non come noi li conosciamo in una settimana o in un mese ma nella vita ordinaria, quindi nella quotidianità».
Questo – dice don Dessolis – è un punto di partenza, si stanno pensando e sono in cantiere altre iniziative per il futuro in tutte le sezioni.
La chiave per aprire i cuori e si vorrebbe dire per aprire celle e blindati è solo una, il rapporto umano, e chi solo una volta ha avuto occasione di varcare la soglia del carcere lo sa benissimo. La sola presenza, il solo condividere un momento della giornata è per le persone ristrette motivo di grande gioia e consolazione.
Racconta ancora il cappellano: «Il mio è un rapporto paterno nei confronti dei detenuti, davvero mi sono sentito voluto bene, accolto, e ho visto che c’è stato da subito nei miei confronti un fidarsi e anche un desiderio di affidarsi. Lo stesso vale per per la Polizia penitenziaria che vedo davvero molto attenta nei miei confronti ma molto attenti anche in quella che è la vita carceraria dei detenuti, c’è molta umanità. Vale anche per per la direttrice e il comandante, con cui davvero – conclude don Roberto Dessolis – abbiamo instaurato un bel rapporto di collaborazione e di fiducia reciproca».