Il Padre ci attende
Commento al Vangelo di domenica 30 marzo - IV Domenica di Quaresima - Anno C
di Federico Bandinu
Rembrandt, Ritorno del figliol prodigo (1668), Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo
4' di lettura
29 Marzo 2025

La parabola del Padre misericordioso rappresenta una tappa di letizia nel nostro cammino quaresimale. In questo tempo nel quale stiamo riscoprendo il valore della riconciliazione, Gesù, parlando a scribi e farisei, presenta due fratelli amati da un padre buono. Il primo fratello, attratto dalle passioni e da un mondo che offre tante distrazioni, si perde e “muore”. Solitamente l’eredità si acquista quando il genitore viene a mancare; qui può sembrare il contrario. Mancando il Padre l’uomo non è più figlio, è privo dell’amore che lo determina come figlio-amato; quindi “muore”. Il peccato puzza di morte. Tuttavia «Egli era ancora un peccatore. Aveva peccato sino al punto che aveva gettato al vento con i suoi misfatti l’intera eredità che aveva ricevuto da suo padre. Ha chiamato ancora Dio suo padre. Questo indica che la Grazia dello Spirito, che lo autorizza a chiamare Dio “Padre”, non si è allontanata da Lui» (Filosseno di Mabbug). Dio, che è Padre sempre pronto al perdono dei figli che tornano a Lui, non si allontana. Come il padre del Vangelo si affaccia quotidianamente alla terrazza della sua misericordia, nella speranza di riveder tornare il figlio perduto. Dio è Maestro di Speranza. Con grande gioia lo vede tornare. Il figlio aveva preparato un bel discorso, pentito, stimolato dalla fame (segno che non bastiamo a noi stessi), si presenta al cospetto del Padre che gli va incontro a braccia aperte. «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi» (Sal 50,19). Il Padre attende i suoi figli desiderosi di recuperare la vitale relazione con Lui in Cristo. 

È significativa l’immagine del banchetto che viene preparato. Noi accediamo alla misericordia del Padre attraverso l’offerta di Cristo che nell’altare della Croce viene immolato perché vengano riconciliati i peccatori. Affermano i Padri: «Era già stato preparato il vitello ingrassato che doveva essere sacrificato per il ritrovamento del figlio minore» (Ireneo). L’azione salvifica della Croce, non rimane attuale solo nel calvario, come una pagina di storia, ma nell’eucaristia si compie quanto affermato da Pietro Crisologo: «Questo è il vitello che ogni giorno e perennemente viene immolato per il nostro banchetto». Il Padre ci attende. Noi siamo i figli “morti”, nel peccato, che torniamo alla vita nell’abbraccio del Padre. Ed allora sarà vero che «incominciarono a far festa». Pasqua sarà festa se immergiamo la nostra vita nella passione, morte e risurrezione di Suo Figlio. Nel sentirci amati incondizionatamente e gratuitamente dal Padre scopriamo di valere qualcosa solo in relazione a Lui. 

Il figlio minore, nonostante il peccato, continua a sentirsi figlio mentre il primogenito, esprimendo un grido di ribellione, si sente servo. Sembra vivere l’obbedienza al Padre come un limite alla sua libertà. Siamo noi quando lottiamo con i nostri perfezionismi e il nostro desiderio di essere ineccepibili. Si sofferma sui suoi sforzi non tanto sull’abbondanza di Grazia che riceve nella costante prossimità con il Padre. La parabola è indirizzata ai farisei e agli scribi. È per noi che talvolta siamo “neopelagiani” (EG 94): crediamo che veniamo salvati nella misura dei nostri sforzi e della nostra perfetta morale. Quando siamo superbamente tentati di definirci perfetti riconosciamo, con umiltà, che ci definisce solo l’Amore di Dio. «Umiliate voi stessi sempre, e abbassatevi negli occhi vostri e degli altri, acciò possiate diventar grandi negli occhi di Dio» (San Filippo Neri). La nostra grandezza sia l’Amore in cui viviamo.


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